Ancor di pallide nebbie
ondeggianti
e di tal brine iridescenti
fresco dal mare
azzurreggiante lunge
s'alza il mattino.
Col lieve palpito di un
volo d'ala,
Ne'l'aure lucide sussurra
un gaio
suon di campane : da un
ciliegio in fiore
canta un fringuello!
Ed una nube l'aratòr
scrutando
con alta voce i bei
giovrnchi spinge:
geme nel solco la percossa
zolla,
la terra s'apre.
S'apre la bruna palpitante
terra,
terra di campi nere nel
sole.
Di bionde albane , celeri
cavalle,
terra degli avi!
Qui ne' begli occhi alle
fiorenti spose:
brillan del naggio le
divine aurore;
qui de i tuoi figli,
dentro il cuor, la forza
del mar ruggente.
Dalle sicure rinverdite
conche
col dolce suono dell'andar
dei rivi,
vengono a te per le
salienti balze
le cecchie cante;
le vecchie cante
che,amorose, ai venti
narrano ed ai boschi le
leggende pie;
narran de' i secoli i
tormenti e le glorie
l'epiche gesta!
O mia diletta, generosa,
terra
e tu Cesena che pensosa ed
intera
al vecchio sole, in riva
al Savio, il dolce
capo riposi;
e tu che al mar le brune
torri estolli
sognando Isotta; ed il
grande arco di Augusto
surto ad accoglier
legionari ed allori
superba miri!
Visser quei tempi! Dal
romano ponte
non più di Augusto
l'aquila trasvola,
la fiera Rocca già
rovente a Cia
più non minaccia!
Guardan gli augelli; nei
profondi gorghi
freme dei fiumi,a pià dei
monti l'onda,
alte de i pini le lontane
chiome
trepidan brune.
Eccco Ravenna cui solente
il fato
volle comune con l'eterna
Roma
la eterna gloria, annuente
il capo
Italia augusta.
Per la bellezza delle tue
regine,
per l'aurea luce e pel
divino azzurro
che scende agli occhi dei
superbi templi,
per Guido e Dante
salve o Ravenna! Fulgido
sul mare
balza del sole
l'irrompente disco
e Lei di luce sua
smagliante inonda
e Lei saluta!
O voi pensose lungo la
marina
su per le floride brumose
terre
ombre di salici, ombre di
pini
che di odorosi
serti soavi la leggenda
infiora,
voi che sapete ove
sognando allori
grande agli indomiti sensi
rto
crebbe Alberico
e come l'alta, l'animosa
fronte
di Quei che gloria a
Cotignola diede
nel torvo fiume cui
l'Aterno è culla
travolse l'onda,
perchè non dir di quanto
acerbo duolo
a te che il crine nel
Santerno specch,
degli Alidosi l'insaziabil
brama
fu seme e fronte?
O come al fin la
giovinezza bella
del tuo Manfredi, o
limpida Faenza,
al bieco artiglio
inverecondo cess
del Valentino?
Contro il nemico
divampante intorno
virtù, valor fu Caterina
invano;
fulse tua gloria nel
tramonto fosco:
Egli trionfava!
Breve fu sogno di superbo
impero:
non tu fallisti: no: Dio
non fu teco;
e l'aspettava nella grigia
sera
la folle Roma!
Passa dei secoli sovra la
terra
la ruota, e cigola. La
Storia muove
ed ai vecchi giri i nuovi
giri aggiunge:
salve o immortale!
E voi ridenti in riva al
mar paesi,
rocche orgogliose, memori
cittadi;
e tu Romagna, d'opere
ferventi
superba madre!
A te possente dalle Balze
ancora
fiero lo spirto del
Ferrucci scende,
e te dal monte donde il
Tebro ha l'onda
di Roma ha il Fato.
Nel cuor dei liberi tuoi
figli ardenti
divampan fremiti, di
incendi fiamme
talòr divampano: sulla
tua terra
divampa il sole!
Ma se di rose
inghirlandata e viole
sui colli lieti di
festanti olivi
tacita l'ala del tramonto
a sera
calando venga
ed al mite soffio
dell'aulente Maggio
dolce sostando su l'amica
soglia
te, dalla bruna Carpineta,
stanco
io ricontempli,
se l'usignol ne la romita
siepe
o la cadente , con suo
volo breve,
foglia d'autunno, dentro
il cor sussurra
mesto un rimpianto,
ignpta all'alma una
dolcezza splende ,
Romagna mia , ed un
picciol camppo io sogno
sotto i cipressi, che
materno accolga
l'ultimo spirto!
Pallido il raggio di una
stella trema,
lieve un sospiro tra le
foglie passa,
nella infinita azzurrità
del cielo
un canto muore!
Pietro Comandini
“Castelli di Romagna e
Montefeltro”1931)
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