lunedì 22 maggio 2017

TRAFFICO DI INFLUENZE-UNA BOIATA PAZZESCA?

Parte II
UNA BOIATA PAZZESCA
In questa situazione fisiologica si è inserito, a tutela della legalità la norma della legge Severino chiamata che istituisce il nuovo reato di “traffico di influenze illecite” che giustamente viene definito dal Professore di diritto della Università di Sant'Anna di di Pisa Tullio Padovano una una “boiata pazzesca” (v. il quotidiano Il Foglio).

Per capire appieno perché il reato, sia in realtà basato sul “nulla”, occorre chiarire la fattispecie disciplinata dall’articolo 346 bis del codice penale: è colpevole di traffico di influenze illecite colui (spesso definito “faccendiere”) che sfruttando la relazione con un pubblico ufficiale si fa dare o promettere “indebitamente” denaro da un privato per spingere il funzionario amministrativo a compiere un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio, in favore del privato stesso. Un reato molto prossimo a quello previsto dall’articolo 346, compiuto dal millantatore che però, a differenza del “faccendiere”, è un semplice “venditore di fumo”, dal momento che non può disporre realmente di una relazione con il pubblico ufficiale.
Dall’art. 346 bis possono dunque emergere due ipotesi di reato, entrambe incardinate su un terreno giuridico piuttosto farraginoso.
La prima ipotesi è che il “faccendiere” si faccia pagare da un privato per influire sull’attività di un pubblico ufficiale, senza però l’intenzione di corromperlo. Una semplice attività di mediazione, ossia di lobbying, fino a prova contraria non illegale, in cui si tenta di convincere per esempio un parlamentare della bontà pubblica di una determinata decisione. Quand’è che quindi questa attività costituisce reato? Quando – recita l’art. 346 bis – l’attività viene svolta in maniera “indebita”, e qui, spiega Padovani, casca il primo asino: “E’ un requisito che i penalisti chiamano di illiceità speciale: la condotta per diventare penalmente illecita deve già esserlo di per sé, ma per poter definire un illecito ci vuole una legge che chiarisca cos’è una mediazione, legge da noi inesistente”. Con la conseguenza che spetta al magistrato colmare, con ampi margini di discrezionalità, il vuoto normativo. Non solo: il mediatore, una volta ottenuti i soldi dal privato, potrebbe in realtà anche decidere di non influire sul pubblico ufficiale. Si potrebbe insomma avere alla fine un soggetto condannato per traffico di influenze illecite, ma che in verità non ha mai cercato di condizionare l’amministratore pubblico.
Da quanto sopra esposto appare chiaro come sia facile per un magistrato iscrivere sul registro degli indagati chiunque si azzardi a raccomandare qualcuno per poi verificare con un giudizio la infondatezza del reato ipotizzato.
Rimanendo peraltro ferme le obiezioni e considerazioni fatte dal sottoscritto e dal prof. Padovano e per portare chiarezza nei rapporti nel mondo delle raccomandazioni nella politica onde sceverare bene i comportamenti leciti da quelli illeciti sarebbe necessario legalizzare e regolare il mestiere del “Lobbista” mettendo alla luce del sole il suo lavoro di mediazione che non solo deve essere lecito ma remunerato secondo delle tariffe come quelle di un professionista proprio per sceverarlo da comportamenti illeciti. D'altra parte sarebbe necessario e utile che venisse riportata la attività esclusiva della consulenza solo a professionisti iscritti ad albi ed alla partita iva onde togliere la parvenza di licetà a tutte le tangenti che si coprono formalmente sotto la veste di di “consulenza” in nero”.
Pesaro li 10 maggio 2017.
Avv. Paolo Emilio Comandini
PESARO
Kingston/17.05.10 Traffico di influenze2 .doc
 



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