martedì 14 dicembre 2021

NATALE CON ZI FEDERICO

 




E' zi Federico

U n'è mai senza un brisul d'ambizion

che me a pens a chi dè, a che tinël

dla casina suleda, e cal riunion

di pariínt torna ló, tott j ann d'Nadêl;


e quand, dal võlti, me a s'era un burdel

e' cunteva ad chi timp e dla person

dla su cundana a morta che a scultêl

t'a t'sintiva int' e' sangv cmà un buliron.


Ancora u m' pê d'avdél: la berba bienca;

u m'pé ad sintì cla su parola frenca

int' j occ sempar un vel d'malinconia.


Anma temprêda a fugh, innamurêda

dla su tëra ch'la n'trema e dla su feda

ch'la s' taglia al veni par no fê la spia!

Pietro Comandini

LO ZIO FEDERICO. 

– Non è mai senza un poco di ambizione – che io penso a quei giorni, a quel tinello – della casetta assolata e a quelle riunioni – dei parenti intorno a lui, tutti gli anni di Natale, - e quando, alle volte, io ero un bambino, raccontava di quei tempi e della prigione, - della sua condanna a morte , che ad ascoltarlo – ti sentivi nel sangue come un rimescolio. - Ancora mi pare di vederlo. La barba bianca; mi pare di d'ascoltare quella sua parola franca – negli occhi sempre un velo d'i malinconia. -Anima temprata al fuoco, innamorato- della sua terra della sua terra che non trema e della sua fede – che si taglia le vene per non fare la spia (tentò di tagliarsi le arterie ai polsi ed all'inguine in carcere con i cocci di un bicchiere rotto per la paura di fare delle rivelazioni sotto il dolore della tortura).

Ma chi era zi Federico di cui parla il nonno Pierino? Cosa poteva raccontare nelle veglie di Natale con tutti i parenti avanti al caminetto nel tinello della piccola casa di Cesena? Racconti che facevano rimescolare il sangue del nonno, autore di questa poesia, allora ancora un semplice “burdello” (ragazzino)?

Zi Federico era uno dei sei fratelli di Giacomo Comandini padre di Pierino. Nel 1853 venne da Mazzini l'ordine ai patrioti romagnoli di tenersi pronti, ma il moto iniziato il 6 febbraio a Milano, fu spietatamente represso con ventiquattro impiccati in Lombardia, tre fucilati a Ferrara ed arresti a non finire nel Lombardo-veneto, nelle Legazioni e nelle Marche. Tra questi c'era anche lo zio Federico arrestato a Faenza il 18 luglio dagli austriaci nonostante il tentativo di fuga sui tetti di una casa accanto.

Da quel momento non vide più la moglie ed il figlioletto e, trasferito a Bologna in catene, non tornò a casa se non il 23 giugno del 1865 dopo dodici anni. Accusato di “ripristino di società segreta e di promossa insurrezione” nonostante le torture, non parlò negando ogni cospirazione. Durante l'interrogatorio durato diversi giorni, nel timore di non potere resistere alle torture, tentò di uccidersi tagliandosi le vene con i vetri di un bicchiere rotto, ma un medico militare fece in tempo a salvarlo. Il 18 gennaio del 1855 fu condannato con altri 37 compagni per alto tradimento alla “pena di morte con la forca” con commutazione alla pena in sei anni di prigione “in ferri” .

Dopo essere stato rinchiuso in diverse carceri venne inviato al carcere di Paliano (Castello ancora oggi adibito a carcere modello per i pentiti) dove rimase più di dieci anni. Doveva scontare sei anni, ma a causa della partecipazione ad un ammutinamento e tentativo di fuga fu di nuovo condannato prendendosi una seconda condanna a morte, (commutata dal Papa in galera in vita con obbligo di custodia l'11 gennaio, il giorno dopo che Vittorio Emanuele aveva pronunciato il discorso del “grido di dolore”.

Dopo la guerra vittoriosa di Magenta e Solferino le Romagne si staccarono dallo Stato della Chiesa e furono riunite al Piemonte, ma i prigionieri politici dello Stato della Chiesa non furono però liberati. Nel 1964 venne concessa la possibilità di liberazione purché il prigioniero firmasse una semplice domanda di Grazia al Pontefice, ma Federico si rifiutò perché, piuttosto che firmare, preferiva morire in carcere. Solo nel 23 giugno 1865 uscì di prigione senza firmare alcuna domanda di Grazia.

Pesaro 14  Dicembre 2021.

P.E. Comandini



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